Nome: Argo (ex-hms Flint)
Tipo: motorni brod – hladnjača
Affiliazione: norveški, kompanija Valdemar Skogland iz Haugesunda
Costruzione: srpanj 1942.
Dimensioni: D=52m, Š=7m, V=4.5m, stroj Mirrless 500 BHP
Equipaggio: 12
Affondò: 27. siječnja 1948. g.
Causa: greška u navigaciji – naletio na minu
Luogo: oko 5 nm E od rta Crna Punta
La difficoltà di trovare: teško se nalazi, potrebni instrumenti
Profondità massima: 50m
Profondità minima: 44m
Corrente: umjerena, povremeno jaka
Accesso: pristup moguć isključivo brodom (lokacija je na otvorenome moru)
Visibilità: vrlo promjenjiva, povremeno vrlo dobra
Il mondo vivente: raznolik život na i oko olupine, na olupini veliki primjerci riba
Conoscenza e abilità: samo ronilačke kategorije osposobljene za tehničko ronjenje
STORIA
Con il nome di HMS Flint , la nave frigorifera Argo faceva parte di un gruppo di navi da guerra – cacciamine che nel 1946, alla fine della Seconda guerra mondiale, il governo britannico vende ad armatori norvegesi, che avevano intenzione di trasformarla in una nave da carico.
Costruita in un cantiere navale canadese, lunga 52 metri, larga 7 e alta 4,5 metri, con motore a vapore, che il nuovo proprietario poi sostituisce con un motore diesel Mirrless 500CV. Inoltre, adibisce anche tre locali a stive merci, una a prua, un’altra a livello centrale e una terza a poppa, con un sistema di refrigeramento del carico, in modo che la nave potssa trasportare pesce facilmente deperibile. Inoltre, viene modificata anche la forma e l’attrezzatura del ponte di comando, il vecchio fumaiolo viene sostituito e trasferito a poppa, sopra il motore diesel. Nelle cabine riadattate è possibile far alloggiare 12 membri dell’equipaggio. Alla nave così ristrutturata nel 1947 viene dato anche un nuovo nome – ARGO.
EVENTI
Il 30 dicembre 1947, con i suoi 12 membri dell’equipaggio, Argo prende il largo a Haugesund con un carico di baccalà surgelato in viaggio per Venezia, dove approda felicemente e, scaricato il baccalà, carica vegetali vari per la sua nuova destinazione – Fiume, dove avrebbe dovuto imbarcare un carico di legno di alta qualità diretto a Oslo. Salpa da Venezia il 26 gennaio 1948 in direzione della cima meridionale dell’Istria, Punta Promontore. Il mare era tranquillo.
Sulla base della dichiarazione ufficiale dell’unico sopravvissuto, un marinaio venticinquenne, veniamo a sapere l’accaduto:
Verso le ore 20 di quell’infausto giorno Argo butta l’ancora in un baia in Punta Promontore dove l’equipaggio passa la notte perché il comandate non se la sente di attraversare il Quarnero la notte per paura delle mine, rimaste li dalla Seconda guerra mondiale. I pochi corridoi sicuri per la navigazione sono segnalati con apposite boe, ma senza illuminazione propria da renderle visibili la notte. Lo scirocco è in aumento, la visibilità scarsa. Il comandante, probabilmente per risparmiare, decide di non far imbarcare il pilota, bensì di attenersi alle carte nautiche e alle boe che contrassegnano il corridoio di navigazione. Quello di cui però non è al corrente è che ci sono molte boe mancanti a causa del frequente maltempo invernale. Verso le 12.30 la nave viene scossa da un’esplosione deflagrante, tanto che sembra la nave inizi ad affondare subito, racconta l’unico sopravvissuto, Mikalsen. In quel momento Mikalsen si trovava a pranzo nel piccolo salone della nave. Afferra il telaio della porta, che gli era a portata di mano, e si batte per raggiungere la superficie. Assieme a lui emergono altre sette persone. Della nave nessuna traccia. Lo scirocco è in aumento. I membri dell’equipaggio sopravvissuti lottano disperatamente per le proprie vite in condizioni di forte maltempo. L’unica cosa che resta da fare è nuotare controvento. Dopo un certo periodo si separano. Mikalsen è in gruppo con altri tre. Prima ne rimangono indietro due, poi ancora uno e poi Mikalsen rimane solo. In lontananza si intravvedeva la costa. Quando si avvicina, Mikalsen vede che di fronte a lui ci sono solo scogli alte e irraggiungibili e il mare in tempesta minaccia di farlo sfracellare su di essi. Con le ultime forze tenta di nuotare lungo la costa arrivando così ad una baia nella quale lo sosspingono le onde e in cui poi perde i sensi. Viene poi appurato che Mikalsen raggiunse la costa nella baia di Vošćice a est della località di Valmazzinghi (Koromačno). Quando riprese i sensi, vide la luce proveniente dall’unica casa vicina del villaggio di Sveti Ivan e con le ultime forze si trascinò fino a li. Erano le 21.30. Gli abitanti gli porsero subito aiuto. Attorno alla mezzanotte poi arrivò anche la polizia, ma Mikalsen era talmente sfinito da non poter neanche parlare. La polizia non disponeva di alcuna attrezzatura per la ricerca e il salvataggio e inoltre infuriava ancora la tempesta. La ricerca di possibili sopravvissuti inizia così la mattina presto del giorno seguente, ma senza alcun esito positivo. Dopo una convalescenza di due settimane nell’ospedale di Fiume Mikalsen recupera le forze ed è in grado di tornare in Norvegia. Li prende moglie e vive per altri cinquanta anni. Non andò mai più per mare.
IMMERSIONE
Il relitto di ARGO è spaccato centralmente in due parti. A una distanza di 25-30 metri l’una dall’altra, entrambe giacciono sul fondo in posizione eretta. Le collega una fune in modo che si possa nuotare dall’una all’altra parte del relitto anche in condizioni di scarsa visibilità. Dato che si trova in mare aperto, è possibile localizzare il relitto solo tramite equipaggiamento GPS e con l’aiuto di un buon misuratore di profondità.
Al momento dell’immersione vediamo un’ombra scura che, scendendo in profondità, prende sempre più la chiara forma triangolare della prua della nave. Già dall’alto è possibile intravedere la battagliola su entrambi i lati della prua. È una buona occasione per fermarsi per qualche secondo, proprio sopra al relitto, per fare qualche foto panoramica prima che i sub si disperdano qua e la alzando una nuvola di sabbia.
Sospesi al di sopra del ponte di prua in posizione eretta è possibile vedere il sistema di ancoraggio con le catene che portano ai fori sul ponte. Le ancore si trovano al loro posto su entrambi i lati della prua, ma sono del tutto coperte dai resti della rete da pesca che per la maggior parte è distesa sul fondo attorno alla prua. Da questa angolazione, guardando di lato, si può vedere che la linea della prua è leggermente ricurva, il che le da un alcunché di moderno. Dal cassero di prua le scale portano al ponte principale. Da qui si vede il vano scuro della stiva merci di prua, nel cui interno si intravede uno spesso strato di fanghiglia da cui spuntano cavi metallici, che fanno pensare a un termosifone. Subito dopo si arriva alla base dell’albero maestro che giace abbattuto vicino al relitto e dietro di esso ci sono i resti del cassero centrale e sulla sua parte superiore la battagliola rotta e piegata di lato. Sulla parte superiore del cassero non ci sono alcuni resti , come se l’esplosione avesse cancellato tutto quello che c’era assieme al ponte di comando. Dopo meno di tre metri in direzione della poppa, il cassero e lo scafo si interrompono bruscamente – sembra che l’altra parte della nave sia stata strappata. Nel punto di rottura una spessa lamiera è strappata e piegata in tutte le direzioni come se fosse di carta. Qui, sotto al ponte e al cassero è possibile entrare cautamente all’interno della nave, c’ è abbastanza posto per intrufolarsi fino alla stiva di prua.
Sul fondo sabbioso attorno al relitto ci sono lamiere sparse qua e la, cavi di acciaio e vari pezzi di attrezzatura. Seguendo la nostra fune arriviamo all’altra parte del relitto, distante una trentina di metri. La fune è fissata alla poppa della nave, a lato del piccolo cassero di poppa. Sul ponte di poppa si trova il vano scuro della stiva merci di poppa, e poco più in la sul bordo del cassero sono fissate le gruette per le scialuppe di salvataggio. Al centro del cassero c’ è ancora un piccolo fumaiolo molto ben conservato. Sulla base della forma del fumaiolo è facile concludere che la nave non aveva un motore a vapore ma un più moderno motore diesel. Di fronte si vedono in alto le finestre rettangolari che servivano per ventilare la sala macchine, alcune delle quali sono socchiuse. Solo qualche metro più in la questa parte del relitto si interrompe bruscamente con una lamiera strappata e lo scafo troncato. In quel punto parte del ponte, per la lunghezza di qualche metro, è piegato verso l’alto e fa pensare a del tonno in scatola appena aperto. Nel punto di rottura sembra si possa dare un’occhiata all’interno ma a causa dei detriti di tubi vari, cavi e lamiere non è consigliabile spingersi oltre.
L’immersione termina facendo ritorno alla parte della nave in cui si trova la fune di ancoraggio, dove è più sicuro emergere in superficie,a anche perché durante la fase di decompressione la fune ci può essere di grande aiuto per aggraparvisi, dato che le corrente marine qui possono spesso essere molto forti.
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